darshanatura_zafferano_la_spezia_che_contrasta_i_radicali_liberiIl termine zafferano deriva dal latino “safranum” che risale  all’arabo “Za’ feràn”, e a sua volta da “asfar” che significa “giallo”. Lo zafferano è una polvere rossa ricavata dagli stimmi del fiore croco sativo, pianta che cresce nelle zone dell’Asia e che fiorisce una sola volta all’anno, ad ottobre. In Italia viene coltivato soprattutto nelle zone centrali: Umbria, Toscana, Marche e Sardegna. Il suo costo è molto elevato a causa del procedimento da cui si ricava la polvere rossa poiché i fiori devo essere delicatamente aperti e gli stimmi riposti con cura. Per fortuna ne bastano davvero piccole quantità per insaporire i piatti e trarne i benefici.

Durante la storia lo zafferano ha avuto gli usi più disparati: per profumare, tingere tessuti, dipingere, curare alcune malattie, colorare alimenti e insaporire vivande.

NX-C-GAL-336835-01-336819La mitologia greca lo esalta. Omero nell’Iliade indica il croco, insieme al loto e al giacinto, tra i fiori del letto di nuvole di Zeus, re dell’Olimpo. Il medico greco Ippocrate loda le sue facoltà farmacologiche raccomandandolo contro i reumatismi, la gotta e il mal di denti. Durante l’impero romano, aumentò la produzione di zafferano. Il lusso dell’epoca diede al croco una notevolissima importanza, e con esso erano profumate le abitazioni e i bagni imperiali. Con la caduta dell’Impero Romano la popolarità dallo zafferano venne meno, e la sua coltura sopravvisse in Oriente, nell’impero di Bisanzio, e nei paesi arabi. Attorno all’anno mille furono gli Arabi che ne reintrodussero in Europa la coltivazione attraverso la Spagna. Allo zafferano venivano attribuite virtù afrodisiache già in epoca classica perché capace d’incrementare l’attività sessuale dei maschi e accrescere la cupidigia delle femmine.

Forse non tutti sanno che fu solo alla fine del 1300 che il fiore venne ufficialmente introdotto in Italia come coltivazione da un padre domenicano chiamato Domenico Santucci. Egli era nato a Navelli, in provincia dell’Aquila, e visse a lungo in Spagna, al servizio del Tribunale dell’Inquisizione. Tornato in Abruzzo, provò a piantare in un terreno di sua proprietà alcuni bulbi di croco spagnolo che attecchirono meravigliosamente e da quel momento divennero una delle maggiori coltivazioni della zona, tanto che la storia d’Abruzzo è quasi inscindibile da quella dello zafferano.

finestra madonna MINIA Civitaretenga, ad esempio, esiste la Chiesa della Madonna dell’Arco che, secondo la leggenda, fu costruita nel luogo dove sorgeva la stalla di una taverna: là dove oggi c’è l’altare, allora c’era la mangiatoia.  Nella taverna venne a soggiornare un pittore il quale però, non avendo una lira, fu dal taverniere messo a dormire nella mangiatoia della stalla. Quella notte al pittore apparve in sogno la Madonna che gli chiese un ritratto; era così bella che l’uomo avrebbe voluto ritrarla immediatamente, ma non aveva colori. Così usò dello zafferano trovato nella cucina della taverna, e la dipinse sul muro contro cui era poggiata la mangiatoia; così che nacque il culto della Vergine dello Zafferano, immagine miracolosa attorno alla quale gli abitanti del paese eressero la chiesa.

Lo zafferano è sempre stato usato come colore per la pittura, aggiunto in abbondanza alle paste di vetro delle vetrofanie o ai colori usati negli affreschi; e proprio attorno a due pittori ruotano le due leggende che spiegano la presenza dello zafferano a Milano, patria del risotto giallo.

La prima narra di un cuoco abruzzese lì emigrato in periodo di carestia; aveva aperto una piccola osteria, ma poiché non aveva burro, carne, verdura, uova, nulla insomma, era costretto a servire ai suoi clienti solo grandi piatti d’insipido e triste riso lesso. Un bel giorno ebbe l’idea di aggiungervi un po’ di polvere di zafferano, ricevuto in pagamento da un pittore squattrinato che era venuto a mangiare da lui; i clienti ne furono entusiasti, e il cuoco divenne ricco e famoso.

L’altra leggenda, più conosciuta, racconta di un garzone vetraio che lavorava alla vetrata di Sant’Elena nella Fabbrica del Duomo. Era bravissimo nel mescolare i colori, rendendoli dorati con l’aggiunta di zafferano: e proprio Zafferano l’aveva soprannominato il suo capo, Valerio di Fiandra.  Un giorno la figlia di Valerio si sposò e il povero ragazzo cadde in crisi perché avrebbe voluto farle un dono bellissimo, ma non aveva una lira; così, durante il banchetto, si presentò reggendo due grandi marmitte di risotto color dell’oro e profumatissimo: aveva inventato anche lui il risotto allo zafferano.

La ricetta che voglio presentarvi oggi è una ricetta vegan, esaltata dall’utilizzo di questa fantastica spezia.

PASTA VEGAN CON ASPARAGI, PISTACCHI E ZAFFERANO

Ingredienti: (x 4 persone)

  • 320 g di pasta corta preferibilmente integrale o di farro
  • 300 g di asparagi
  • 1 spicchio d’aglio (se lo gradite)
  • 2 cucchiai di olio evo
  • 1 bustina di zafferano
  • 2 cucchiai di granella di pistacchi
  • sale e pepe nero quanto basta

Procedimento:

  1. Mettete a tostare gli asparagi puliti e tagliati (le punte intere e i gambi ridotti a rondelle) in una padella antiaderente insieme allo spicchio d’aglio tagliato a metà (se desiderate utilizzarlo)
  2. Dopo qualche minuto aggiungete mezza tazza d’acquacalda e proseguite la cottura fino a che gli asparagi si saranno ammorbiditi e il l’acqua si sarà ridotta di circa la metà (occorreranno 10 minuti circa)
  3. Regolate di sale e pepe
  4. Eliminate l’aglio se lo avete utilizzato
  5. Aggiungete la bustina di zafferano e l’olio evo
  6. Proseguite la cottura ancora per qualche minuto e quando si sarà creato un sughetto cremoso ma ancora piuttosto liquido (si formerà quasi per magia!) spegnete il fuoco.
  7. Cuocete la pasta al dente in acqua leggermente salata e poi fatela saltare nella padella con il condimento, aggiungendo la granella di pistacchi e mescolando per qualche minuto.
  8. Un gusto inconfondibile e un vero toccasana per la salute. Buon appetito!pasta-vegan-asparagi-zafferano-pistacchio

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